Mutualità e associazionismo rurale. L’impegno del Comizio Agrario di Mondovì dal 1867 ad oggi
ATTILIO IANNIELLO
I Comizi Agrari.
I Comizi Agrari affondavano le proprie radici nell’Associazione Agraria degli Stati Sardi di Torino, promossa dal re Carlo Alberto nel 1842.
Questa associazione istituiva in ogni capoluogo di provincia un Comizio Agrario, Comizi che a causa delle guerre d’Indipendenza cessarono temporaneamente la loro attività per riprenderla poi ad Unità d’Italia avvenuta.
Lo scopo principale dell’Associazione Agraria era quello di favorire un rinnovato interesse per le condizioni di vita delle classi rurali. La ricerca scientifica nel campo dell’agronomia promossa dalle diverse accademie d’agricoltura sparse per l’Italia, incominciava a dare importanti risultati che però non riuscivano a raggiungere la pratica degli agricoltori ancora per molti versi legati a forme arcaiche di conduzione delle proprie aziende, complice anche un analfabetismo estremamente diffuso.
Il contributo dell’Associazione Agraria fu in quegli anni molto importante e contribuì a modificare il volto dei campi. In Piemonte si diffuse per esempio la coltivazione del gelso ed un’agricoltura alleata con l’industria manifatturiera tessile (allevamento dei bachi da seta), al maggese fu sostituita la rotazione quadriennale ed alla cerealicoltura fu affiancata la produzione foraggera finalizzata all’allevamento del bestiame.
Questa necessità divenne ancor più impellente in seguito all’unificazione del Paese. La notevole differenza della situazione dell’agricoltura nelle diverse regioni della novella Nazione accelerò il processo riformatore che auspicava la costituzione in ogni circondario di un ente autonomo e fortemente impegnato anche e soprattutto dal punto di vista pratico nell’organizzazione dell’agricoltura del novello Stato italiano.
Il Ministro dell’Agricoltura Cordova nel 1866, l’8 settembre, istituì una Commissione, presieduta dal marchese Emilio Bertone di Sambuy, col compito di elaborare progetti di legge riguardanti istruzione agraria, credito agrario, rappresentanze agrarie e miglioramenti colturali.
Da questa Commissione scaturirono suggerimenti che portarono all’emanazione del Regio decreto del 23 dicembre 1866 concernente l’istituzione dei Comizi Agrari.
Questi ultimi avevano come scopo:
«1. Consigliare al Governo quelle provvidenze generali o locali che si riputassero atte a migliorarne le condizioni; 2. Raccogliere e porgere al Governo ed alla deputazione della rispettiva provincia le notizie che fossero richieste nell’interesse dell’agricoltura; 3. Adoperarsi per far conoscere e adottare le migliori colture, le pratiche agrarie convenienti, i concimi vantaggiosi, gli strumenti rurali perfezionati, le industrie affini all’agricoltura che possono essere utilmente introdotte nel paese, come pure gli animali domestici la cui introduzione o propagazione potrebbe giovare all’agricoltura, e promuovere il migliore governo e miglioramento delle razze indigene; 4. Concorrere alla esecuzione di tutti i provvedimenti che fossero dati per incoraggiare e proteggere il progresso dell’agricoltura; 5. Promuovere e ordinare concorsi e esposizioni di prodotti agrari e di macchine e strumenti rurali…; 6. Promuovere le disposizioni necessarie perché vengano osservate le leggi e i regolamenti sulla polizia sanitaria degli animali domestici…».[1]
Il lavoro di trasformazione del mondo rurale che i Comizi intraprendevano era senz’altro notevole e, nonostante le difficoltà e i fallimenti di molti, l’era di questi enti agrari diventava una delle più belle pagine della storia dell’agricoltura italiana.
L’importanza e l’urgenza del lavoro dei Comizi Agrari era ancora più evidente se si dava uno sguardo alla reale situazione del mondo rurale nella seconda metà del XIX secolo.
Era una situazione tutt’altro che felice. Scarsa redditività del terreno, contratti agrari non certo convenienti per la gran massa del proletariato rurale causavano una diffusa povertà che unita ad una discreta crescita demografica rendeva la situazione esplosiva. La miseria, unitamente al fenomeno dell’analfabetismo, provocava anche inadeguato stile alimentare e pessime condizioni abitative, tanto che, anche per resistere ai rigori invernali, era «diffusa la coabitazione con gli animali, avvilente la ristrettezza degli spazi, deleteria l’umidità degli ambienti»[2]. Questa situazione favoriva la diffusione di malattie quali la tubercolosi e la pellagra che venivano ad aggiungersi a quelle endemiche tra cui particolarmente diffusa era la malaria. A questo si aggiunse la crisi della cerealicoltura provocata dalla concorrenza del grano americano, e in parte di quello russo, l’ingresso nel mercato della seta giapponese e del riso indiano a prezzi significativamente più bassi e la comparsa verso la fine del secolo XIX della fillossera. Di fronte a tante difficoltà i piccoli e piccolissimi proprietari dovevano contare sulle proprie forze e il sistema bancario non aiutava minimamente queste categorie le quali spesso cadevano nella rete dell’usura che imperversava nelle campagne creando ulteriore miseria ed ingiustizia[3].
L’ultimo quarto del secolo XIX vide poi anche l’accrescersi del fenomeno migratorio sia temporaneo e stagionale sia definitivo[4].
In questo non facile contesto che cosa poterono fare i Comizi Agrari?
A questa domanda lasciamo la risposta ai diretti interessati che nel 1912 in un clima di isolamento e nell’approssimarsi di riforme che ne avrebbero sempre più limitato il ruolo fino a farli scomparire con orgoglio enumeravano i loro tanti meriti:
«Che cosa hanno fatto i Comizi? Nelle campagne manca l’istruzione, e li vediamo organizzare (ben prima delle iniziative del Ministro Baccelli) i corsi d’agraria ai maestri per sussidiare poi le scuole invernali d’agraria agli adulti.
La propaganda agraria non ha ancora assunto la forma pratica di cattedra ambulante; ed i Comizi provvedono a mezzo di conferenze speciali (in alcune località persino regolarmente domenicali) a diffondere l’istruzione tecnica fra gli agricoltori. […] Agli agricoltori bisogna dare – è noto – metà consigli e metà denaro: sono ancora i Comizi che organizzano il credito agrario, promuovono casse di risparmio e banche popolari.
Bisogna provvedere le merci; ed i Comizi aprono agenzie (che – nella loro poca pratica commerciale – Dio solo sa quanti sacrifici e quanti oneri sono costate!) organizzando l’acquisto dei famosi cartoni di seme bachi al Giappone, e poi via, via, quello dei concimi, dello zolfo, del solfato, delle sementi ecc. […].
Necessita la dimostrazione pratica di come si attuino i miglioramenti agrari? Sono i Comizi – prima delle Cattedre – che istituiscono campi di prova, distribuiscono semi, assumono l’amministrazione diretta di poderi, affittano pascoli alpini, aprono depositi di macchine agrarie, organizzano corsi di potatura e di innesto.
La fillossera fa la sua prima comparsa in Italia? Sono i Comizi che – seguendo le incertezze della scienza – ora distribuiscono semi, ora talee, ora barbatelle di viti americane e formano vivai; per cedere anche questa loro attività ai consorzi antifillosserici quando il periodo dello studio è finito e si entra in quello della pratica e del tornaconto.
Lo spirito di associazione è ancora debole fra i campagnuoli? Ed è in seno ai Comizi che sorgono e si sviluppano cantine e latterie sociali, mutue bestiame ed incendi, fino a quando siansi fatte vitali e sicure tanto da potersene staccare per vivere autonome.
Una iniziativa ancora è deficiente fra gli agricoltori: quella che deve organizzare tutto il lavoro di miglioramento zootecnico. Ebbene… dove, se non nei Comizi, si trovano anche oggi i primi germi di quelle associazioni di allevatori, cui giustamente si tende, ma che nell’inerzia degli altri trovano tacitamente la forza per nascere ed i mezzi per svilupparsi in quell’inesauribile vivaio di buone opere, di feconde iniziative, di provvidenziali audacie che furono e sono i Comizi Agrari?
[…]
Inchieste, studi, monografie agrarie – ricerche statistiche – previdenza agricola – infortuni sul lavoro – contratti agrari – probivirato agricolo – arbitrato agricolo – legislazione agraria: sono tutti capitoli appena accennati di quelle belle e nuove pagine che tanti Comizi si sono accinti a scrivere…».[5]
Tra queste «belle e nuove pagine» molte furono scritte proprio dal Comizio Agrario di Mondovì.
La tradizione associativa e cooperativa del Comizio Agrario di Mondovì.
Il 25 maggio 1867, nella sala del teatro Sociale di Mondovì Piazza, alla presenza del Sottoprefetto del Circondario, dei Delegati del Comizio e dei settantatré rappresentanti dei Comuni del Circondario, quarantun Soci davano vita al Comizio Agrario del Circondario di Mondovì. Esula certamente dagli intenti di questo breve saggio, raccontare ed analizzare la storia centenaria del Comizio stesso, tuttavia si ritiene importante sottolineare, seppur per cenni, la volontà di questo storico ente agrario monregalese di diffondere l’associazionismo e la cooperazione tra gli agricoltori del Mandamento di sua competenza.
Uno dei primi comparti produttivi che vide il Comizio protagonista indiscusso nell’organizzare e nell’aiutare gli agricoltori fu la bachicoltura.
Nella seconda metà del XIX secolo l’allevamento dei bachi da seta rappresentava per i piccoli coltivatori una risorsa preziosa al fine di incrementare il loro reddito derivante dai tradizionali lavori agricoli. L’allevamento del filugello infatti era alla portata di tutti poiché non richiedeva né cospicui capitali né attrezzature costose.
Il Monregalese in quel periodo era particolarmente ricco di gelsi, tanto che, soprattutto in pianura, si potevano trovare anche una cinquantina di tali alberi per ettaro[6]. Molte famiglie rurali quindi allestivano la loro “bigatteria” (da bigatto, baco da seta), a volte addirittura nella cucina (unico luogo riscaldato) o nelle camere da letto. Un problema ricorrente che poteva vanificare il beneficio dell’allevamento del filugello, era la comparsa ed il diffondersi di malattie del baco, quali, a partire dalla metà dell’Ottocento, la pebrina ed il calcino, epidemie dovute spesso alla scarsa qualità del seme acquistato dai coltivatori[7].
Per venire incontro agli agricoltori e superare questi problemi il Comizio Agrario di Mondovì, oltre ad istituire corsi per migliorare e razionalizzare gli allevamenti dei filugelli, pubblicava sul proprio “Bollettino” numerosi articoli di bachicoltura pratica[8] ma, soprattutto promuoveva una Società bacologica a Mutuo beneficio[9] che aveva come scopo quello di assicurare ai propri associati la massima qualità dei cartoni di seme bachi al miglior prezzo attraverso l’acquisto collettivo degli stessi effettuato da un mandatario, Giovanni Bertone, inviato in Giappone (Yokohama), il quale era tenuto anche ad assicurare la merce contro i danni di eventuali incendi od altri incidenti ed avarie durante il tragitto in nave.
Questo primo impegno in forma associata a favore della bachicoltura monregalese si perfezionò una ventina di anni dopo con la costituzione di una Bigatteria sociale sperimentale:
«Nell’attivare la bigatteria la Società si propone di dare un esempio di razionale allevamento dei bachi e di studiare i seguenti quesiti: a) utilità della torba come disinfettante; b) convenienza dei graticci mobili; c) applicabilità del bosco cellulare».[10]
Nella prima metà degli anni Settanta la Direzione del Comizio constatò poi l’importanza di iniziare un’opera di ammodernamento dell’attrezzatura usata dagli agricoltori nello svolgimento dei loro lavori. Si decise quindi di stanziare una prima somma di lire duemila per l’acquisto collettivo di macchine agrarie da dare a prezzo di favore ai Soci.
Questo impegno del Comizio per gli acquisti collettivi di macchine agrarie ebbe negli anni degli sviluppi interessanti tanto che il 21 luglio 1888 il Presidente Emilio Lanza poteva scrivere sul “Bollettino”:
«Allo scopo di favorire il miglioramento dell’agricoltura e delle industrie rurali mediante la diffusione di attrezzi perfezionati, concimi, sementi e quanto altro possa abbisognare per una razionale coltivazione, il Comizio ha deliberato l’impianto di una Agenzia agraria in Mondovì».[11]
L’Agenzia aveva lo scopo di distribuire gratuitamente ai Soci, semi e piantine mentre venivano venduti a prezzi di costo:
«a) sale pastorizio secondo la concessione speciale che dalla legge viene fatta ai Comizi Agrari; b) zolfi e preparati contro le malattie della vite; c) polvere ed estratto di tabacco ed altri insetticidi; d) solforatori e pompe per l’applicazione dei rimedi contro le malattie della vite e degli alberi fruttiferi; e) potatoi, innestatoi ed altri strumenti per la viticoltura e frutticoltura: f) semi di frumento, barbabietole, foraggi, ortaggi, piantine da frutta, ecc.; g) aratri e strumenti per la coltivazione dei campi e delle vigne, per l’allevamento del bestiame e per l’enologia; h) concimi artificiali di quelle fabbriche che accettano il contratto delle stazioni chimiche governative; i) libri di agricoltura, zootecnia, viticoltura ecc.».[12]
Nel 1892 il Consiglio Direttivo progettò di istituire «una cooperativa anonima fra i soci del comizio agrario col titolo di Sindacato agrario cooperativo di Mondovì» per gestire la su menzionata Agenzia agraria, ma ci vollero alcuni anni perché tale progetto potesse concretizzarsi.
Solo nel 1898 l’Agenzia agraria venne sostituita da una cooperativa agraria che ne assumeva ed allargava gli intenti. Il 25 giugno di quell’anno, infatti, fu costituita la Cooperativa Agricola, con atto rogato Perotti:
«L’idea della cooperazione è ormai così popolare che crediamo di poterci dispensare dal mettere in rilievo i vantaggi della nuova istituzione. Nel campo morale la cooperativa rafforza il sentimento della solidarietà, nel campo legale assicura i vantaggi della personalità giuridica e nel campo materiale permetterà di avere un deposito di merci utili all’esercizio dell’agricoltura».[13]
La Cooperativa, che nel 1919 cambiò nome in Cooperativa Agricola Subalpina, aveva come scopo:
«1) acquistare per conto proprio o di terzi e distribuire ai propri soci e agli agricoltori in genere, merci, prodotti, attrezzi, macchine, scorte vive e morte, occorrenti all’esercizio della’agricoltura e al consumo delle famiglie coloniche; 2) vendere, sia per conto proprio, sia per conto di terzi i prodotti agrari dei soci e degli agricoltori in genere; 3) aprire nel circondario e fuori di esso appositi spacci per la vendita di merci e prodotti agrari; 4) stabilire depositi, magazzini o cantine per l’acquisto e la vendita di prodotti agrari; 5) partecipare con altre società e con privati al commercio per la vendita all’interno o per l’esportazione all’estero di prodotti agrari; 6) acquistare macchine, attrezzi, ecc. per darli in prestito o in affitto; 7) stabilire laboratori ed opifici per la lavorazione di prodotti agrari; 8) facilitare le operazioni di credito agrario dei propri soci; 9) fabbricare per conto dei soci e dei terzi, merci e prodotti occorrenti all’esercizio dell’agricoltura e delle industrie affini; 10) fare saggi, analisi ed esperimenti, istituire corsi e scuole nell’interesse dell’agricoltura; 11) esercitare assicurazioni agrarie nei limiti del circondario; 12) raccogliere le offerte e le domande di lavoro agrario e agire come ufficio di collocamento».[14]
Agricoltori e cooperative.
Il Comizio Agrario di Mondovì non si limitò soltanto a costituire importanti enti cooperativi nella cittadina capoluogo del mandamento monregalese, ma si adoperò perché l’associazionismo e la cooperazione si diffondesse in ogni dove.
Per fare questo ospitò quasi in ogni numero del suo “Bollettino” articoli finalizzati ad educare il mondo rurale al mutualismo[15] e promosse anche la costituzione della Federazione Italiana dei Consorzi Agrari di Piacenza nel 1892[16].
Per affrontare l’annoso problema dei danni causati dalla grandine, il Comizio tramite la sua sezione di Dogliani costituì il 20 agosto 1893, con rogito del Notaio Francesco Fracchia, la Società Mutua Cooperativa contro la grandine “La Doglianese” .
Nel 1899, il 23 dicembre, sempre in Dogliani, dopo alcuni anni di sperimentazione, fu promosso il “Consorzio di Dogliani, Farigliano e Belvedere Langhe per gli spari contro la grandine” per
«a) impiantare, a spese comuni, stazioni di sparo per tentare la protezione e la difesa dei fondi dei consorziati, b) provvedere, a spese comuni, al funzionamento ed alla sorveglianza delle stazioni».[17]
Nell’ultimo ventennio del XIX secolo poi il Comizio fu attento e partecipe alla lotta contro la fillossera, che tanti danni aveva causato anche alla vitivinicoltura monregalese, promuovendo il Consorzio antifillosserico subalpino[18] e contemporaneamente aiutando attraverso lezioni pratiche i coltivatori a migliorare le proprie vigne con l’impianto di viti americane[19] su cui innestare i vitigni locali. L’aiuto ai viticoltori non si fermava all’informazione agraria ma si interessava anche dell’aspetto commerciale delle uve e del vino attraverso la costituzione di Cantine sociali (Carrù, Roccacigliè, Mondovì).
Stesso slancio propagandistico si ebbe a favore delle latterie sociali[20].
All’inizio del XX secolo infatti, promosse dal Comizio, operavano tre di queste istituzioni cooperative lattiero-casearie a Morozzo, Margarita[21] e Villanova Mondovì. Di quest’ultima leggiamo nello Statuto:
«Scopo principale della Latteria Sociale sarà quello di lavorare e smerciare in comune il latte portato dai soci in quei modi che appariranno migliori e più convenienti, anche avuto riguardo all’allevamento del bestiame. Come scopi secondari la Latteria sociale potrà proporsi: a) la mutua assicurazione ed il miglioramento del bestiame; b) la distribuzione ai soci di derrate agricole e specialmente sale-pastorizio, panelli, ecc. In genere ogni iniziativa utile all’agricoltura locale, che non sia incompatibile con lo scopo essenzialmente economico pel quale la Società è sorta».[22]
Nonostante l’attivismo del Comizio ed i buoni risultati di molte delle esperienze cooperativistiche promosse dall’Ente agrario monregalese, molti coltivatori continuavano a guardare con diffidenza l’associazionismo, tanto da rifiutare persino tutte quelle garanzie di prezzo, di dilazioni di pagamento e soprattutto di qualità di sementi e concimi che le cooperative di acquisto e vendita offrivano ai Soci. Convinti più del detto «Chi fa da sé fa per tre» che di quello che recita «L’unione fa la forza» molti si ostinavano a fornirsi di mezzi per l’agricoltura da venditori “girovaghi” di non sempre provata onestà, finendo spesso imbrogliati se non addirittura nelle spire dell’usura. Di fronte a questa immotivata resistenza, il Comizio dalle pagine del suo periodico, “L’Agricoltore Monregalese”, lanciava un appello ad avere fiducia delle cooperative:
«Troppo di frequente i nostri agricoltori, specialmente i piccoli cadono vittime dei disonesti. In questi ultimi anni in cui sono andati diffondendosi i concimi chimici molti sono quelli che sono rimasti ingannati. Per prevenire dei veri furti a danno dei coltivatori e affinché non si generi sfiducia nell’impiego dei concimi, dei semi selezionati ecc., e non sia ritardata la loro applicazione, gli agricoltori si rivolgano fiduciosi alle Cooperative, che rappresentano le loro naturali alleate. Per agevolare il compito di queste istituzioni, gli agricoltori devono prenotare per tempo quanto loro occorrerà in concimi, semi, panelli, ecc., affinché le cooperative possano acquistare quando il mercato offre le condizioni migliori, e affinché non rimangano sprovviste di qualche merce. Non si lascino persuadere da certi mediatori e venditori girovaghi, i quali promettendo merce di buona qualità, concedendo il pagamento a lunga scadenza, finiscono coll’esercitare una brutale usura, seppure non ingannano anche sulla bontà di quanto spacciano.
Le istituzioni cooperative
procurano di fare i prezzi minimi.
Gli speculatori
procurano di cavare i prezzi massimi.
Le Cooperative
non mirano a guadagni.
Gli speculatori
mirano sempre a lauti guadagni.
Le Cooperative
forniscono sempre merci genuine con garanzia di analisi.
Gli speculatori
forniscono spesso merci sofisticate e non controllate.
Le cooperative
evitano gli intermediari.
Gli speculatori
hanno bisogno di intermediari.
Le Cooperative
fanno un credito non oneroso.
Gli speculatori
fanno un credito sempre oneroso.
Le Cooperative
si propongono di sollevare e migliorare le sorti economiche dell’agricoltura.
Gli speculatori
si propongono di trarre il massimo tornaconto, approfittando di frequente, dell’ignoranza dell’agricoltore.
Gli agricoltori si convincano della verità di quanto è stato detto e si rivolgano per quanto può occorrere per l’esercizio della loro industria agraria alle Cooperative».[23]
Il contributo di Alessandro Gioda.
Quando nel 1904 l’agronomo Alessandro Gioda (Padova 8 ottobre 1878 – Mondovì 14 luglio 1948)[24] venne nominato Direttore della Cattedra Ambulante di Mondovì e Segretario del Comizio Agrario volle immediatamente contribuire alla diffusione di quelle piccole cooperative agricole di cui l’Ente agrario monregalese andava fiero. Iniziò la sua opera a favore dell’associazionismo economico sia difendendo la Cooperativa Agricola del Comizio, che nel frattempo operava in tanti comuni del mandamento con proprie sezioni, sia scrivendo dei testi semplici, di facile lettura ed accattivanti nello stile per la propaganda associazionistica. Nascevano così tra le innumerevoli pubblicazioni di carattere tecnico agronomico “L’abbicì della mutualità agraria” e “Come si è fondata a Campagna di Mondovì una Società di mutua assicurazione contro i danni della mortalità del bestiame”[25]. In entrambi i lavori, attraverso la messa in scena di dialoghi tra agricoltori (Tonio e Bastiano) e di questi con il Professore, l’esperto cattedratico ambulante, si permetteva al lettore di valutare tutti i pro e i contro della mutualità agraria, di sorridere su certe resistenze ed incomprensioni retaggi di una ancestrale diffidenza verso tutto ciò che è novità e finalmente di comprendere
«che le società mutue sono specie di leghe che gli uomini di buona volontà e più previdenti stringono fra di loro per difendersi da un malanno qualsiasi che possa colpirli e per sopportarne con minore danno le tristi conseguenze; dandosi l’uno con l’altro garanzia da fratelli. Così contro i danni delle malattie si sono fondate le società di mutuo soccorso agricole-operaie; contro gli accidenti che possono capitare sul lavoro (caduta da un albero, frattura di una gamba, ecc.) si sono fondate le società mutue infortuni[26]; e in altro campo, per fare poche parole, vi sono esempi di società mutue contro i danni della grandine; contro i danni della mortalità del bestiame; contro i danni degli incendi».[27]
Alessandro Gioda inoltre aveva intuito che il Monregalese, soprattutto nelle colline intorno a Mondovì, era un territorio vocato alla frutticoltura. Convinse quindi nel il Consiglio Direttivo del Comizio a istituire dei “frutteti scuola”:
«Tali frutteti comprenderanno di regola 50 piante di peri o di meli della varietà più adatte alle località cui saranno destinati, piante che verranno concesse gratuitamente dal Comizio. Così pure il Comizio provvederà a sua cura e spese per un determinato numero di anni alla potatura di tali frutteti».[28]
I primi frutteti scuola venivano impiantati già nel corso dell’anno seguente:
«Per sua parte il Comizio tenderà non solo a diffondere la coltivazione della frutta, ma anche le norme di frutticoltura razionale, ciò che spera ottenere coi frutteti scuola già impiantati a:
Vicoforte – col. Ferdinando Borsarelli
Mombasilio – famiglia Nasi
Serra di Pamparato – dott. Stefano Nasi
Nucetto – don Romano
Bagnasco – cav. Enrico Giugiaro
ed in corso di impianto a Monesiglio e Perlo».[29]
Uno dei più importanti “frutteti scuola” trovò la sua sistemazione presso il Cottolengo di Mondovì Carassone nei primi anni Venti, poiché tale caritatevole istituzione ospitava in quel periodo la Colonia Agricola[30] per gli Orfani di Guerra.
A partire dal 1918 poi Alessandro Gioda volle anche associare i frutticoltori nel “Consorzio fra i produttori di frutta del Circondario di Mondovì”:
«Facciamo la società.
A ciò può giovare molto una cordiale intesa fra i produttori di frutta e per intendersi bisogna formare una società. Questa società chiameremo: Consorzio fra i produttori di frutta del Circondario di Mondovì.
Che cosa si paga per essere soci di questa società?
Nulla; basta essere soci del Comizio e dichiarare per iscritto che si vuole appartenere al Consorzio produttori frutta.
Che cosa si chiede agli aderenti al Consorzio?
Ben poca cosa; ed in primo luogo che unifichino la loro produzione. Unificare la produzione vuol dire smettere di far venire ogni varietà nuova annunciata dai cataloghi, e sostituire le numerose varietà che uno possiede con poche ma buone.
E in seguito?
In seguito si vedrà; per ora si può accennare alla difesa contro le malattie organizzata collettivamente, alla potatura fatta eseguire da squadre di personale pratico; alla vendita collettiva dei prodotti; all’acquisto in comune di piantini da frutta, alla istituzione di vivai e di frutteti o sperimentali o dimostrativi».[31]
Il Consorzio iniziò subito ad acquisti collettivi di piante. Già nel gennaio 1919 il Consorzio si era assicurato
«per la prossima primavera un migliaio di piantine innestate sceltissime e robustissime. Non è al momento ancora possibile disporre di tutte quelle varietà sulle quali la frutticoltura industriale del circondario dovrà affermarsi: ciò sarà fatto per l’anno venturo».[32]
Alessandro Gioda per la promozione della frutticoltura non si limitava ai “frutteti scuola” e all’istituzione del “Consorzio Produttori Frutta”, ma riusciva anche ad organizzare importanti mostre frutticole. Il primo esperimento venne fatto a Torre Mondovì nel 1913 e in seguito una la seconda esposizione frutticola venne organizzata a Mondovì nel 1919 con ottimi risultati di mercato.
Tutte queste iniziative per lo sviluppo della cooperazione[33] si areneranno poco per volta man mano che il fascismo consoliderà il proprio potere nel nostro Paese. Quando con il dispositivo di legge (Regio Decreto n. 3.229 del 30 dicembre 1923 e relativo regolamento n. 1.666 del 30 ottobre 1924) la rappresentanza agraria ufficiale passava dai Comizi ai Consigli provinciali dell’Economia, l’Ente agrario monregalese dovette scegliere tra lo scioglimento, la trasformazione in Consorzio agrario cooperativo o la continuazione della propria esistenza, previa assemblea dei soci appositamente convocata per un aggiornamento dello Statuto. Il Comizio di Mondovì scelse quest’ultima ipotesi e riuscì a sopravvivere grazie ai beni che possedeva, poiché a partire dal 1923 i contributi statali, provinciali e comunali per i Comizi vennero soppressi. Il regime mussoliniano riusciva però a cancellare una dopo l’altra tutte quelle piccole esperienze di cooperazione rurale per le quali in Comizio di Mondovì aveva con passione lavorato:
«Con la legge 3 aprile 1926 e il riconoscimento giuridico della Confederazione Nazionale Fascista degli Agricoltori, ogni autonomia associativa viene sopraffatta dalla nuova organizzazione sindacale, corporativistica, verticistica voluta dal regime. Scompariranno così una dopo l’altra tutte le libere unioni, associazioni; le strutture delle varie cooperative di vendita, di consumo, di trasformazione saranno “fagocitate” nella ragnatela tesa dalla Federazione Nazionale dei Consorzi Agrari ormai gestita e diretta da personalità di regime. In sintesi: a cavallo delle due guerre la maggior parte delle forme associative e cooperativistiche sorte agli inizi del secolo nella provincia di Cuneo si spegnevano, altre stavano in torpore sino a tutto il secondo conflitto mondiale…».[34]
Il dopoguerra.
Nel secondo dopoguerra il Comizio Agrario di Mondovì proseguiva la sua missione attraverso la continua e puntuale informazione agraria sul periodico “L’Agricoltore Monregalese”, mensilmente compilato dal Presidente generale Alarico Bruzzone. Quest’ultimo, coadiuvato dall’intero Consiglio Direttivo e dalla segretaria Giovanna Cuniberti voleva riprendere la tradizione associativa e cooperativistica dell’Ente agrario da lui presieduto, ma il ventennio fascista, la crisi degli anni Venti di quasi tutte le casse rurale del circondario[35] su cui molte cooperative si appoggiavano finanziariamente subendo perdite considerevoli e l’atavico individualismo dominante, rendevano questo progetto difficile da realizzare:
«Sulla costituzione dei consorzi, purtroppo nelle nostre zone siamo ben lontani da quello spirito cooperativistico che ci auguriamo per la salvezza della nostra agricoltura», annotava il generale Alarico Bruzzone[36]. «L’individualismo è la caratteristica del nostro contadino, retaggio forse di quel senso di libertà che è sempre stato vivo nel vecchio Piemonte che non conobbe i lunghi secoli di schiavitù sotto lo straniero. Ma l’individualismo pone il nostro agricoltore inerme di fronte a potenti e ben organizzate forze concorrenti in ogni campo commerciale, industriale, agricolo, nella quale lotta il contadino ne esce con le ossa rotte. Né in zone come le nostre, la cui proprietà è così frazionata in piccoli appezzamenti, l’agricoltore ha la possibilità di provvedersi dei moderni mezzi ormai indispensabili per una buona agricoltura. Ben vengano quindi i consorzi e speriamo […] che riescano finalmente a sviluppare una coscienza cooperativistica per una migliore fortuna della nostra agricoltura e degli stessi consumatori».
L’ultimo erede delle Cattedre Ambulanti.
In questo difficile contesto nel 1956 l’agronomo Carlo Nan (1919 – 2002) fu invitato dal Bruzzone a collaborare col Comizio quale tecnico agrario e direttore del periodico “L’Agricoltore Monregalese”. Nan non ebbe dubbi, voleva riprendere e condurre il lavoro che era stato svolto con tanta dedizione e cura dalla Cattedra Ambulante di Mondovì. Salutando nel novembre del ’56 dalle pagine dell’Agricoltore Monregalese i soci del Comizio, l’agronomo presentò subito quello che sarebbe stato il programma del lavoro futuro:
«… mi rivolgo soprattutto ai piccoli coltivatori che nel nostro territorio pullulano ovunque, al piano, sui colli e sui monti affinché aderiscano ai richiami che loro rivolgerò, in quanto l’opera del Comizio sarà indirizzata, come già fu al tempo dell’impareggiabile prof. Gioda, all’assistenza e difesa della piccola proprietà, secondo i seguenti punti del futuro programma che qui viene riportato:
– Intensificazione dell’assistenza tecnica alle singole aziende, promuovendo di comune accordo con l’Ispettorato agrario piani di coltura, campi dimostrativi, corsi di istruzione ed ogni forma di assistenza per un migliore sviluppo della tecnica colturale.
– Unificazione degli acquisti delle merci necessarie all’esercizio dell’agricoltura e della vendita in comune dei prodotti del suolo.
– Introduzione dei mezzi tecnici meccanici, utili ad innalzare la produzione terriera ed a renderla più economica.
– Organizzazione dell’esercizio delle varie industrie agricole che non possono essere esercitate dalle singole aziende.
– Promozione dell’assicurazione mutua del bestiame ed ogni altra assicurazione interessante l’azienda, il coltivatore e la sua famiglia.
– Facilitazione dell’avviamento dei prodotti verso i mercati di consumo.
– Istituzione di un servizio di consulenza e di assistenza legale e fiscale.
Troppe cose, direte voi; troppe ma necessarie»[37].
Carlo Nan voleva impostare una seria attività dell’ente agrario da lui diretto che avesse come scopo l’accompagnamento di quegli agricoltori che volessero iniziare un graduale progresso di trasformazione economica della propria impresa abbandonando l’improvvisazione a favore di un indirizzo colturale verso le qualità dei prodotti più apprezzati sul mercato e soprattutto volessero trasformare la loro impresa da familiare ad industriale. Quest’ultimo progetto comportava, secondo il direttore del Comizio, la
«riunione delle aziende onde assumere quell’ampiezza economica richiesta per l’impiego dei moderni strumenti di lavorazione al più basso costo di esercizio, e per un’organizzazione tecnica adeguata alla lavorazione del prodotto ottenuto dal suolo onde presentarlo direttamente al consumatore».[38]
Quindi
«… la Direzione del Comizio inizierà col prendere in esame la risoluzione dei problemi che maggiormente nella nostra zona urgono e precisamente quelli relativi alla:
– vendita in comune della frutta prodotta in rilevante quantità, e costruzione di magazzini di raccolta e di conservazione:
– Acquisto in comune dei mezzi di produzione (sementi, concimi, antiparassitari)…».[39]
La prenotazione dei mezzi di produzione[40] presso il Comizio Agrario di Mondovì ebbe un successo insperato:
«L’esperimento degli acquisti collettivi è riuscito molto bene grazie alla collaborazione degli stessi agricoltori interessati. Perciò desideriamo volgere un caloroso elegio ai molti soci di Briaglia, Priero, Dogliani (fraz. Martina), Vicoforte, zona Collarey e, per quanto riguarda Mondovì, di Rifreddo, Merlo e Pascomonti i quali, dimostrando piena fiducia nell’organizzazione hanno gettato le basi della futura e più profonda “cooperazione” che verrà attuata fra le piccole imprese agrarie della collina monregalese».[41]
La “profonda cooperazione” di cui parlava Nan aveva infatti all’ordine del giorno l’istituzione di una mutua contro la moria del bestiame, che causava gravi danni economici agli allevatori. Il Comizio, inoltre, grazie alla collaborazione con il Consorzio Agrario, aveva organizzato un Centro di Motomeccanizzazione «mettendo a disposizione della piccola impresa collinare tutto il macchinario necessario al più basso prezzo d’uso possibile»[42]. L’importanza data anche a quest’ultima iniziativa nasceva dalla consapevolezza della direzione del Comizio di quanto fosse ormai importante dare un incisivo sviluppo alla meccanizzazione dell’agricoltura locale perché permetteva:
«di arare rapidamente nell’estate i terreni argillosi onde esporli più a lungo alla disintegrante azione del sole; di associare, ove è possibile, i terreni ad una coltura intercalare; di eseguire più sollecitamente ed agevolmente i trasporti aziendali interni ed esterni; di trasformare gli allevamenti bovini in imprese di elaborazione di carne e latte; di ridurre al minimo indispensabile l’intervento della mano d’opera; di eseguire lavori più razionali di cui molto ne beneficiano le colture».[43]
La “profonda cooperazione” promossa dal Comizio voleva con fatti, con esempi concreti, rompere quella mancanza di spirito associativo degli agricoltori del Monregalese.
Il compito, secondo Nan, era tanto più urgente quanto più si avvicinava il Mercato Comune Europeo. Infatti la concorrenza nel comparto agricolo da parte degli altri Paesi europei «dove il movimento di cooperazione degli agricoltori per la produzione e la vendita delle derrate ha raggiunto uno sviluppo invidiato dalla nostra agricoltura»[44] poteva diventare esiziale per l’agricoltura locale caratterizzata da «una disorganizzazione tecnica ed economica spaventosa»[45].
Occorreva dunque prendere coscienza che il futuro invitava alla collaborazione perché attraverso l’unione dei coltivatori si potevano perseguire quei risultati di qualità e di positiva commercializzazione che i nuovi scenari del mercato esigevano.
Il Comizio dei frutticoltori monregalesi.
Il 22 gennaio 1957, solo pochi mesi dopo l’assunzione del ruolo di collaboratore del Comizio, Nan convocò un’assemblea di frutticoltori monregalesi per organizzare la vendita in comune. Era il primo passo verso una serie di realizzazioni cooperativistiche che nelle sue intenzioni avrebbero trasformato il Monregalese in una “nuova Venezia Tridentina”[46].
Nel corso della riunione emergeva la volontà di interessare il Comune di Mondovì affinché sistemasse adeguatamente almeno una parte delle strutture già adibite a mattatoio e frigorifero con lo scopo di cederle in affitto al Comizio Agrario o ad una eventuale cooperativa di frutticoltori. In quei locali si poteva quindi ritirare la frutta, farne una cernita accurata, confezionarla e venderla direttamente all’esportatore o al consumatore.
Una delle prime applicazioni pratiche della vendita in comune della frutta ci fu nell’estate dell’anno seguente. L’occasione nacque da una “Giornata dell’Agricoltore”[47] organizzata l’11 agosto ’58 nel salone del Municipio di Vicoforte dal Sindaco di quel Comune, Giuseppe Fulcheri. Lo scopo era quello di affrontare i principali problemi dell’agricoltura locale ed individuare immediate, anche se parziali e non risolutive, proposte per iniziare a risolverli.
Lo stesso Fulcheri suggerì di vendere in comune la frutta nel corso della Fiera della Madonna, a Vicoforte Santuario l’8 settembre di quell’anno.
Inoltre un progetto per iniziare a risolvere i problemi dei frutticoltori fu la costituzione di una cooperativa.
Infatti il 20 agosto 1959 a Mondovì, davanti al Notaio Oreste Branda un nutrito gruppo di frutticoltori[48] costituivano la Cooperativa Frutticoltori del Monregalese con i seguenti scopi:
«a) vendita, nonché mediazione della vendita ed utilizzazione della frutta conferita dai soci e pagamento del ricavo netto; b) acquisto collettivo e mediazione dell’acquisto di tutti i materiali e strumenti destinati per le aziende agricole ed economiche dei soci; c) rappresentanza e promozione degli interessi collettivi nonché creazione e partecipazione ad istituzioni adatte ad elevare il benessere dei soci; d) miglioramento della frutticoltura, nonché promozione di tutte le iniziative ed istituzioni tendenti a questo scopo; e) acquisto e costruzioni di impianti per la conservazione, utilizzazione e vendita della frutta e di altri prodotti agricoli conferiti dai soci».[49]
La zona di conferimento si estendeva a terreni situati nei comuni di Mondovì, Vicoforte, Monastero Vasco, Villanova, Briaglia, Carrù, Montaldo e per la lavorazione e conservazione dei prodotti si decise di usufruire dei locali dell’antica Caserma di Artiglieria ubicata in Mondovì Carassone, e del frigorifero di proprietà del sig. Merlo in Villanova: «Per il primo anno, come esperimento si consegneranno e lavoreranno partite di Renette del Canadà, Golden Delicius e pere Madernassa»[50].
Per avviare nel modo più efficace possibile l’attività della Cooperativa, Nan, insieme a quattro frutticoltori soci nei giorni dal 25 al 28 settembre del ’59, quindi appena un mese dopo la costituzione della stessa, fece un viaggio[51] nelle province di Trento e Bolzano per studiare l’organizzazione cooperativistica di quelle zone montane.
Nan raccolse le positive impressioni avute in questa “gita d’istruzione” in un opuscolo, pubblicato a cura del Comizio Agrario, che terminava con un ulteriore invito a quanti operavano nel circondario di Mondovì a seguire la via della cooperazione:
«Non v’è altra via da seguire che quella percorsa dai frutticoltori del Trentino: la cooperazione. Mi voglio rivolgere a tutti i frutticoltori del Monregalese ed anche a quelli più progrediti ed attrezzati di Saluzzo e di Lagnasco. Non sono più io tempi in cui ognuno poteva fare da sé senza l’aiuto del vicino: i mercati oggi si vincono solo con la qualità e la quantità. Dobbiamo costituire cooperative di produzione, lavorazione e vendita in tutte le zone frutticole del Cuneese… Ed io desidero che il buon esempio parta dal Monregalese… Voglio che siate voi frutticoltori di Mondovì, di Vicoforte, di Monastero Vasco, di Villanova Mondovì a promuovere quest’opera di risveglio e di rinnovamento della nostra frutticoltura».[52]
La Cooperativa Frutticoltori del Monregalese operò con profitto dalla fine del 1959 a tutto il 1964. Nel 1965 cessò l’attività a causa della vendita della caserma di Carassone dove la Cooperativa aveva i magazzini da parte della proprietà.
La cooperazione “frazionale”.
Nella primavera del 1962 nascevano due interessanti esperienze di cooperazione “frazionale” come la definì il professor Nan. Quest’ultimo era infatti convinto che per avere dei risultati duraturi nel contesto cooperativistico occorreva evitare di iniziare con grandi imprese formate da centinaia di soci, poiché organismi di quelle dimensioni potevano correre il rischio della burocratizzazione e della mancanza di un rapporto diretto con i soci e dei soci tra loro. La “misura” che invece Nan scelse per i suoi enti associativi fu proprio la frazione, il piccolo borgo, il gruppo di aziende che essendo vicine potevano, unendosi, dare vita ad un unico organismo agricolo di dimensioni ottimali.
Venivano così costituite la Cooperativa Agricola per la trasformazione strutturale e la gestione comunitaria della zona del “Caramello”[53] e la Cooperativa per la gestione comunitaria di Briaglia.
La prima realtà comprendeva undici aziende, ubicate nel comune di Vicoforte, per una superficie produttiva di 92 giornate piemontesi. La Cooperativa del “Caramello” intendeva utilizzare una superficie di 40 giornate per la frutticoltura e il rimanente terreno, reso irriguo con la costruzione di un laghetto collinare, per il foraggio da utilizzare per un allevamento di bovini di razza piemontese, da ospitare in una stalla comune capace di 40/50 capi.
La seconda realtà “frazionale” era la Cooperativa di Briaglia che raccoglieva quattordici aziende ad indirizzo viticolo e zootecnico operanti su una superficie di circa 206 giornate piemontesi. Il progetto di Briaglia aveva lo scopo di aumentare l’aspetto vitivinicolo con impianto di vitigni di Dolcetto, ai quali le colline monregalesi erano particolarmente vocate.
L’entusiasmo con cui Carlo Nan ed il Comizio seguirono i primi passi di queste due società cooperative contagiò gli attenti cronisti degli eventi monregalesi tanto che il giornalista Nino Manera dalle colonne della “Gazzetta di Mondovì” salutò la nascita di queste comunità agricole come di un avvenimento storico di significativa importanza:
«… Sappiamo che la Cooperativa del “Caramello” di Vicoforte e quella di Briaglia non corrispondono ancora al modello ideale, vagheggiato dal Direttore del Comizio Agrario il quale, come egli stesso ha scritto nell’opuscolo che presenta la nuova iniziativa, “vorrebbe andare oltre verso forme di società più snelle e conformi ai tempi, indirizzando gli operatori economici agrari a costituire vere e proprie società per azioni, con la formazione graduale, mediante scuole apposite o corsi professionali, dell’operaio agricolo, capace di svolgere, con tenacia appropriata, un numero di pratiche che gli diano un coefficiente d’impiego ad alta remunerazione”: Le due comunità, nate giorni or sono nella sede del Comizio Agrario, sono comunque due grosse novità, rivoluzionarie, due sassi nello stagno di un’antica e gretta mentalità. Venticinque aziende hanno accettato di mettere in comune capitali, terreni, strumenti di lavoro, dando vita a due organismi primi in Italia. Hanno dato vita a due società cooperative che hanno vari punti di contatto con i kibbuz israeliani…[…] A Mondovì si sono gettate le basi di una società “pilota” che dovrebbe trasformare radicalmente le cadenti strutture dell’attuale azienda contadina. L’avvenimento può essere considerato “storico” da quanti si preoccupano per le sorti dell’agricoltura nazionale ed è destinato a sfatare la leggenda che vuole il contadino piemontese, e quello cuneese in particolare, retrogrado, egoista e restio ad accostarsi agli indirizzi innovatori dell’organizzazione agricola».[54].
Una terza iniziativa del prof. Nan sorse nella frazione Costa del comune di Priero. Sedici famiglie infatti costituirono la Cooperativa per la gestione comunitaria della Costa di Priero, mettendo in comune le proprietà ed il bestiame e creando così una azienda modello.
Le difficoltà però erano comunque sempre in agguato e l’ambiente rurale continuava a non cogliere l’importanza di queste esperienze, anzi spesso e volentieri vi lavorava contro[55].
Queste iniziative quindi poco per volta si arenavano cessando l’attività nei primi anni Settanta.
Conclusione.
Si chiudeva così il ruolo del Comizio quale promotore di cooperazione, ma rimaneva sottotraccia la volontà di indicare ai piccoli e medi agricoltori la via dell’associazionismo come realtà per poter avere remunerazione dal proprio lavoro.
Inoltre la consapevolezza acquisita attraverso decenni di impegno a favore del territorio monregalese, portava il Comizio Agrario ad investire ancora sulla frutticoltura. Il presidente Giacomo Cavallotto in collaborazione con l’agronomo Raffaele Bassi realizzavano nella frazione San Biagio di Mondovì nella primavera del 1997 il Campo dimostrativo varietale “Alessandro Gioda” che raccoglieva numerose specie storiche di frutta locale.
Il frutteto, tutt’ora in attività, vede il concorso di numerosi volontari, soci del Comizio. Quest’ultimo inoltre si pone a fianco di tutte quelle realtà associative rurali che accompagnano il ritorno di giovani al lavoro dei campi con la volontà antica, eppur straordinariamente moderna, che l’agricoltura è un bene comune e la solidarietà degli agricoltori tra loro e con chi consumerà i loro prodotti è garanzia di futuro per la società intera.
Note
[1] Cfr. Vittorio Emanuele II, Regio Decreto sulla Costituzione dei Comizi Agrari, in “Bollettino del Comizio Agrario del Circondario di Mondovì” n. 1 – luglio 1867.[2] Cfr. Relazione Inchiesta Parlamentare di Stefano Jacini, Vol. III, pag. 200, 1884,
[3] A fronteggiare quest’ultimo flagello comparvero però degli uomini che, seguendo le vie indicate da Herman Schulze e da Friedrich Wilhelm Raiffeisen, introdussero in Italia il credito cooperativo: si trattava di Luigi Luzzatti e di Leone Wollemborg. Il primo, «uno fra i più convinti esponenti di quella borghesia liberale che si attivava in ogni settore per la promozione del Mutuo Soccorso», introdusse in Italia il metodo Schulze-Delitzsch, costituendo nel 1864 a Lodi, nell’ambito della locale Società di Mutuo Soccorso, la prima Banca Popolare italiana e il secondo, «liberale illuminato, politico innovatore e teorico di sistemi moderni per affrontare l’economia e renderla il più possibile utile ai ceti più disagiati», costituiva la prima Cassa Rurale italiana a Loreggia in provincia di Padova il 20 giugno 1883. A questi si aggiunsero poi gli uomini del Movimento sociale cattolico tra cui don Luigi Cerutti che nel febbraio del 1890, a Gambarate, frazione di Mira in provincia di Venezia, fondò la prima Cassa Rurale cattolica; cfr. Ianniello Attilio, Radici solidali frutti eccellenti, Revello, 2006, pp. 12-36.
[4] Una forte emigrazione verso il Brasile si ebbe tra il 1880 e il 1900. Secondo lo storico inglese Michele Hall furono circa un milione e seicentomila i contadini italiani, in maggioranza veneti, a migrare verso quel paese. Il fenomeno dell’emigrazione continuò anche nel Novecento, un dato per tutti, secondo dati ufficiali nel 1913 dal solo Piemonte partirono 78.663 emigranti di cui 43.564 diretti in Europa e 35.099 in America, cfr. Allio Renata, L’agricoltura piemontese nella prima metà del XX secolo, in Società Italiana degli Agricoltori (a cura), L’agricoltura piemontese nel XX secolo, Pomezia (Roma), 2000, pp. 10-11.
[5] Cfr., Qualche considerazione sulle informazioni che servirono alla compilazione del I° Annuario dei Comizi Agrari, in . Consociazione dei Comizi, Primo annuario dei Comizi Agrari Italiani, Mondovì, Tipografia Manassero, Torto e Moletta, 1912, pp. 78-79.
[6] Cfr. Zitta Enrico, Aspetti sociali del progresso agricolo a Mondovì dal 1870 al 1910, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Scienze Politiche, Relatore: prof. Giovanni Carpinelli; Anno Accademico 1992-1993; pag. 43.
[7] Idem, pp. 74-77.
[8] Si veda per esempio Del governo dei bachi da seta, in “Bollettino del Comizio Agrario del Circondario di Mondovì” (da ora in poi “Bollettino”) n. 4 – aprile 1869 e successivi.
[9] Cfr. Consiglio di Amministrazione, Società bacologica a Mutuo beneficio, in “Bollettino” n. 5 – maggio 1869; il Consiglio di Amministrazione era composto da Barbero Bartolomeo, agente del Marchese di Pamparà; Mayno di Capriglio conte avv. Amedeo; Bartini geometra Antonio; Dante Odino, negoziante e Rovere avv. Giuseppe Alberto.
[10] Cfr. Regolamento per la bigatteria sociale, in “Bollettino” n. 3-4 – marzo-aprile 1890. «La bigatteria venne aperta col consenso delle Autorità Municipali nell’antico filatoio De Bernardi, situato in città, affinché il pubblico potesse più facilmente visitarla» , in “Bollettino” n. 11-12 – novembre-dicembre 1890.
[11] Cfr. Lanza Emilio, Impianto di un’agenzia agraria, in “Bollettino” n. 6-7 – giugno-luglio 1888. L’Agenzia aveva il magazzino in via Beccaria a Mondovì Breo presso la sede della Cassa di Risparmio di Mondovì.
[12] Idem, Emilio Lanza sottolineava pure nell’articolo che «essendo lo scopo del Comizio di tutelare gli interessi dell’agricoltura, l’Agenzia non venderà materie delle quali non sia facile conoscere il valore e la qualità, come zolfi e miscele, concimi, seme bachi ecc., se non siano di origine sicura, o in caso di dubbio, previa analisi presso la Stazione chimica agraria o il Museo bacologico di Torino».
[13] Cfr., Cooperativa agraria, in “Bollettino” n. 11 – giugno 1898.
[14] Cfr. Comizio Agrario di Mondovì, Statuto della Cooperativa Agricola fra i soci del Comizio, Mondovì, Tipografia Gio. Issoglio, 1898, pp. 3-4. La Cooperativa Agricola Subalpina nel 1938 venne poi incorporata al Consorzio Agrario Provinciale di Cuneo costituito nel 1936: si veda Ianniello Attilio, Il Consorzio Agrario delle Province del Nord Ovest, Revello, 2006, pp. 53-54.
[15] Cfr. per esempio, La cooperazione in agricoltura, in “Bollettino n. 6-7 – giugno-luglio 1886.
[16] Cfr., Federazione dei Consorzi o sindacati agrari, in “Bollettino” n. 1-2-3 – gennaio-febbraio-marzo 1892 e seguenti.
[17] Cfr., Consorzio di tito contro la grandine, in “Bollettino” n. 3 – febbraio 1900.
[18] Ospiterà per esempio alcuni Congressi antifillosserici nel 1888 e nel 1894 ed istituì un Osservatorio per sperimentare i mezzi di lotta alla fillossera.
[19] Si diedero premi per i migliori vivaisti di barbatelle di vite americana e alcuni decenni dopo, il 20 aprile 1920, davanti al Notaio Perotti si costituì la Cooperativa Viti Americane, per l’acquisto collettivo e la diffusione delle suddette barbatelle.
[20] Si veda l’opera di promozione delle latterie sociali a partire dal “Bollettino” n. 1 -.gennaio 1882 (G. Turco, Latterie sociali), cfr. anche G. Ruini, Sulle latterie sociali, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 21-22-23 – novembre 1903.
[21] Cfr. “L’Agricoltore Monregalese” n. 23-24 – dicembre 1906.
[22] Latteria Sociale di Villanova Mondovì, Statuto e Regolamento, Mondovì, Tipografia dell’Immacolata, 1909, pp. 3-4; Archivio Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.
[23] Cfr. G. Ruini, Agricoltori e cooperative, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 12-13 – agosto 1903.
[24] Per approfondire la conoscenza di questo illustre personaggio della storia del Comizio Agrario di Mondovì si consiglia la lettura di Comizio Agrario di Mondovì (a cura), Nel decennale della morte del prof. dott. Alessandro Gioda, Tipografia Pietro Avagnina, Mondovì Piazza, 1961, oltre ovviamente alle opere dello Gioda stesso.
[25] Cfr. Gioda Alessandro, Come si è fondata a Campagna di Mondovì una Società di mutua assicurazione contro i danni della mortalità del bestiame, Tipografia C. A. Fracchia, Mondovì, 1907.; Gioda Alessandro, L’abbicì della mutualità agraria, Tipografia C. Cassone, Casale, 1911.
[26] Su questo tema è doveroso sottolineare che proprio a Mondovì per la prima volta in Italia si affrontò pubblicamente il discorso dell’assicurazione contro gli infortuni in agricoltura: «Fu nel 1907 al Congresso nazionale degli agricoltori italiani in Mondovì, che venne per la prima volta portato alla pubblica discussione questo importante argomento», in Gioda Alessandro, L’assicurazione contro gli infortuni del lavoro in agricoltura, in “Bollettino” n. 1-2 –aprile 1909.
[27] Cfr. Gioda Alessandro, L’abbicì della mutualità agraria, Tipografia C. Cassone, Casale, 1911, pag. 11.
[28] Cfr. Frutteti scuola, in “Bollettino” n. 1 del 25 novembre 1911.
[29] Cfr. Piante da frutta, in “L’Agricoltore Monregalese” del 15 gennaio 1913.
[30] Per la storia della Colonia Agricola ed il ruolo del Comizio Agrario nella sua promozione si veda Ianniello Attilio, La Colonia Agricola Provinciale di Mondovì. Uomini e opere di una pagina di storia monregalese, Acqui Terme, 2012.
[31] Cfr. Il Consorzio fra i produttori di frutta del Circondario, in “L’Agricoltore Monregalese” del 18 dicembre 1918.
[32] Cfr. Il Consorzio produttori frutta presso il Comizio Agrario di Mondovì, in “L’Agricoltore Monregalese” del 15 gennaio 1919.
[33] Si veda a questo proposito l’articolo non firmato, ma molto probabilmente nato dalla penna di Alessandro Gioda, Evviva la cooperazione, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 17 – agosto 1918.
[34] Cfr. Nan Carlo, La nascita dell’associazionismo agrario nella provincia di Cuneo, in “Bollettino della società per gli studi storici, archeologici ed artistici della Provincia di Cuneo”, fasc. 85, 1981, pag. 362.
[35] Nel circondario a partire dal 1894 si costituirono la Cassa Rurale di Vicoforte, di Cherasco, Farigliano, Bricco Faule, Trinità, Roccaforte, Murazzano, Bene Vagienna, Rocca de Baldi, Crava, Dogliani, Carrù, Margarita, Pianfei, Frabosa, Morozzo, Villanova-Roracco, Niella Tanaro, San Michele Mondovì, San Michele Mondovì-San Paolo, Lesegno, Mombasiglio, Viola. Cfr. Magliano Ilario, La cooperazione di credito nel Monregalese fra fine Ottocento ed il primo trentennio del Novecento, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Economia e Commercio, Relatore: prof. Renata Allio, Correlatore: prof. Claudio Bermond, Anno Accademico 1982/1983, pp. 41-71; dalla Relazione della Camera di commercio di Cuneo del 1922 si viene a conoscenza dell’esistenza anche delle seguenti Casse Rurali: Briaglia, Monastero Vasco, Cherasco San Martino, Mondovì, Pamparato, Prunetto, Salmour, Torre Mondovì, cfr. Idem, pp. 72-74. Il fallimento della Cassa Rurale di Bagnolo Piemonte e del Piccolo Credito di Cuneo a cui quasi tutte le casse citate erano legate, causò un effetto domino che fece sparire queste esperienze di credito cooperativo. Rimasero la Cassa Rurale di Bene Vagienna e quella di Carrù.
[36] Cfr. Bruzzone Alarico, La difesa antigrandine, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 3 – marzo 1955.
[37] Cfr. Nan Carlo, Un ricordo ed un saluto dal nuovo Direttore, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 11 – novembre 1956.
[38] Idem.
[39] Cfr. Nan Carlo, È necessario indirizzare la piccola impresa su nuove e più ampie basi economiche, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 12 – dicembre 1956.
[40] Cfr. Nan Carlo, Prenotazione dei mezzi di produzione, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 2 – febbraio 1957.
[41] Cfr. Nan Carlo, Dopo gli acquisti collettivi, un centro di moto meccanizzazione per la collina, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 10 – ottobre 1957.
[42] Idem.
[43] Idem.
[44] Cfr. Nan Carlo, Il Mercato Comune Europeo potrà giovare all’agricoltura delle nostre colline, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 4 – aprile 1957.
[45] Cfr. Nan Carlo, Il futuro ci invita alla collaborazione, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 3 – marzo 1957.
[46] Cfr. Nan Carlo, Il futuro ci invita alla collaborazione, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 3 – marzo 1957.
[47] Oltre Al Sindaco di Vicoforte, l’ingegner Giuseppe Fulcheri, erano presenti il prof. Arturo Magliano, ordinario di zootecnica dell’Università di Pisa, il prof. Battistelli, propagandista agrario e giornalista, il generale Alarico Bruzzone, Presidente del Comizio Agrario, il geometra Giuseppe Blengini, Vice Presidente del Comizio Agrario, il perito agrario Secondo Bogliaccino, dell’Ispettorato Agrario, il dott. Emilio Cora, veterinario di Vicoforte, il dott. Max Bella, veterinario, il geometra Alessandro Brocchieri, del Consorzio Agrario, il sig. Angelo Bracco, membro della Giunta di Vicoforte e frutticoltore e Carlo Nan.
[48] Tra questi troviamo elencati su “L’Agricoltore Monregalese” n. 8 – agosto 1959: Domenico Badino di Mondovì Borgatto, Giovanni Bertola di Mezzavia, Luigi Bongioanni di Mondovì Piazza Santa Croce, Filippo Bonino di Mondovì Piazza, Angelo Bracco di Vicoforte, Giuseppe Bruno di Mondovì Piazza Garzegna, Alarico Bruzzone di Mondovì Breo, Giovanni Cappa di Mondovì Carassone, Giuseppe Chionetti di Vicoforte, Silvio Filippi di Carrù, Giuseppe Fornasero di Mondovì Garzegna, Giuseppe Ghiglia di Mondovì Piazza, Stefano Ghiglia di Vicoforte, Antonio Ghiglia di Vicoforte, Bartolomeo Manassero di Mondovì Mezzavia, Virgilio Mansuino di Mondovì Pascomonti, Giovanni Peirone di Mondovì Carassone, Francesco Sicardi di Mondovì Piazza, Giovanni Battista Turco di Monastero Vasco San Lorenzo, Giovanni Battista Turco di Stefano di Monastero Vasco, Riccardo Viale di Mondovì e Oreste Vinai di Montaldo Oberti.
[49] Cfr. Cooperativa Frutticoltori del Monregalese, Statuto, pp. 3-4.
[50] Cfr., Cooperativa Frutticoltori del Monregalese, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 8 – agosto 1959.
[51] Il viaggio fu finanziato completamente dalla Camera di Commercio di Cuneo, oltre ai frutticoltori monregalesi vi era una delegazione di quelli saluzzesi guidati da Augusto Gullino e dal cav. Sacchetto di Lagnasco.
[52] Cfr. Nan Carlo, Notizie e considerazioni sul Movimento Cooperativistico dei frutticoltori dell’Alto Adige e del Trentino, Tipografia Fracchia, Mondovì, pp. 11-12.
[53] Le imprese che già nel 1961 sperimentarono l’associazionismo di Vicoforte furono (“L’Agricoltore Monregalese” n. 8 – agosto 1961): Ditta Migliore Caterina fu Giacomo in Bonada, Ditta Migliore Mario fu Giacomo e Trombetta Anna Maria fu Giacomo, Ditta Basso Lucia fu Giovanni in Chionetti, Ditta Bonada Domenico fu Domenico, Ditta Chionetti Giuseppe e Carlo, Ditta Chonetti Giuseppe, Ditta Bedarida dott. Ugo.
[54] L’articolo di Manera è riportato integralmente su “L’Agricoltore Monregalese” n. 5 – maggio 1962.
[55] «Abbiamo ancora una volta constatato che l’ambiente rurale è mai vicino a chi vuole essere “pioniere” di cose nuove e si sacrifica per costruire nuove strade su cui gli altri possano procedere senza alcuna fatica e senza alcun rischio. Al contrario con parole, con atti, con ogni mezzo si cerca di generare discordia, di denigrare le cose fatte, di creare paure acché nel nodo scorsoio preparato dalla loro cattiveria, individualismo e invidia, vengano stretti tutti, buoni e cattivi, volenterosi e negligenti, in un solo ed unico fascio», lo sfogo è di Nan: Nan Carlo, Alcune osservazioni e norme relative alla Cooperazione di Gestione, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 12 – dicembre 1963.
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