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Il professor Carlo Nan

Il professor Carlo Nan

ATTILIO IANNIELLO

Carlo Nan nacque il 23 maggio 1919 a Diano d’Alba dove il padre Tancredi, originario di Calizzano, paese dell’entroterra ligure, esercitava la funzione di Segretario Comunale. L’infanzia del piccolo Carlo si svolse quindi sulle colline albesi, nei diversi borghi nei quali il lavoro del padre lo portava. Così da Diano passò in un secondo tempo a Govone dove visse per un certo periodo in un alloggio allestito proprio per la famiglia del Segretario Comunale all’interno del bel castello della caratteristica cittadina della sinistra Tanaro.
Dopo aver frequentato il Ginnasio ed il Liceo Classico ad Alba dimostrandosi un bravo studente con risultati brillanti, si iscrisse alla Facoltà di Scienze Agrarie di Torino.
Quando nel 1940 scoppiò la seconda Guerra Mondiale il giovane Carlo, allora studente universitario, vide in quel tragico frangente la possibilità di cercare l’avventura, quell’ideale di vita eroica a cui si sentiva giovanilmente attratto. Partì quindi per il fronte da volontario prima in Yugoslavia e poi con l’ARMIR in Russia.
L’esperienza del fronte russo, la scoperta della superficialità e del pressapochismo del regime di Mussolini incisero in modo decisivo nella formazione umana del giovane Nan che convogliò, come vedremo in seguito, la sua volontà di impegno nella ricerca della giustizia sociale e della libera affermazione di ogni singola persona.
Ritornato in patria nel 1943, Carlo Nan decise di riprendere gli studi universitari laureandosi in Scienze Agrarie il 14 marzo 1947.
Nel frattempo, nei periodi liberi da impegni di studio, Nan conosceva di persona in un gruppo di suoi amici universitari con i quali si ritrovava di quando in quando a Montà d’Alba, la giovane studentessa di Economia e Commercio Adriana Dani, che era stata sua corrispondente in qualità di “madrina di guerra” nel periodo bellico.
Iniziava così un’importante storia sentimentale che avrebbe legato per tutta la vita i due giovani. Carlo e Adriana si sposarono il 20 novembre 1947 e dalla loro unione, una decina di anni dopo, nacque la figlia Chiara.

Carlo Nan con la moglie Adriana Dani e la figlia Chiara

Dopo una breve esperienza lavorativa nella città di Torino, nel 1949 Nan assunse l’incarico per l’insegnamento dell’Estimo, Agraria, Contabilità dei lavori presso l’Istituto Tecnico “Giuseppe Baruffi” di Mondovì. Fu una svolta decisiva nella vita dell’agronomo; in quell’autunno della fine degli anni Quaranta Carlo Nan incontrava una terra, il Monregalese, per la quale avrebbe speso le sue migliori energie e dalla quale avrebbe ricevuto, come vedremo in seguito, tanta gratitudine e molti riconoscimenti ma anche qualche delusione.
Carlo Nan per le sue doti di organizzatore e per la sue vaste conoscenze agrarie e legislative fu chiamato dal Comune di Mondovì a far parte della Commissione Disciplina Mercati, del Comitato organizzatore della Fiera di Primavera e fu anche per un lungo periodo dirigente dell’Istituto Autonomo Case Popolari.
La sua passione per l’impegno sociale, che riversò con grande slancio e generosità, come vedremo, soprattutto a favore del Comizio Agrario, nasceva certo dal suo temperamento ma anche da quella scelta ideale di socialista democratico che nutrì il suo pensiero e la sua azione ponendolo spesso su posizioni decisamente all’avanguardia rispetto i tempi ed i luoghi in cui operava.
La sua militanza politica, che lo portò, per esempio, a presentarsi candidato al Senato per il Partito Socialista Italiano alle elezioni politiche del giugno 1979, fu sempre discreta, avulsa dalla ricerca di favori o di notorietà seppur a dimensione locale. Il socialismo liberale e democratico per il quale lavorava Carlo Nan era la visione di una società possibile, dove la giustizia sociale permetteva ad ogni individuo di essere libero, autonomo nelle scelte e con la possibilità di esplicare tutta la sua intelligenza ed intraprendenza a favore non solo di se stesso ma di tutta la comunità in cui viveva e di riflesso di tutta la società.
È con queste idee che Carlo Nan lottò con intelligenza e creatività a favore del riscatto morale ed economico del mondo rurale monregalese, facendo spesso riferimento ad un modello cooperativistico che gli stava particolarmente a cuore, quello del Kibbuz, un modello certamente non esportabile e sicuramente perfezionabile, secondo Nan, ma pur sempre una forma cooperativistica integrale in cui la ricerca del massimo benessere collettivo insieme alla massima, e libera, crescita individuale erano continuamente all’ordine del giorno.

L’ultimo erede delle Cattedre Ambulanti.

Quando nel 1956 fu chiamato dal presidente del Comizio Agrario, il generale Alarico Bruzzone quale tecnico agrario e direttore del periodico “L’Agricoltore Monregalese”, Carlo Nan non ebbe dubbi, voleva riprendere e condurre il lavoro che era stato svolto con tanta dedizione e cura dalla Cattedra Ambulante di Mondovì. Salutando nel novembre del ’56 dalle pagine dell’Agricoltore Monregalese i soci del Comizio, l’agronomo presentò subito quello che sarebbe stato il programma del lavoro futuro: «… mi rivolgo soprattutto ai piccoli coltivatori che nel nostro territorio pullulano ovunque, al piano, sui colli e sui monti affinché aderiscano ai richiami che loro rivolgerò, in quanto l’opera del Comizio sarà indirizzata, come già fu al tempo dell’impareggiabile prof. Gioda, all’assistenza e difesa della piccola proprietà, secondo i seguenti punti del futuro programma che qui viene riportato:
– Intensificazione dell’assistenza tecnica alle singole aziende, promuovendo di comune accordo con l’Ispettorato agrario piani di coltura, campi dimostrativi, corsi di istruzione ed ogni forma di assistenza per un migliore sviluppo della tecnica colturale.
– Unificazione degli acquisti delle merci necessarie all’esercizio dell’agricoltura e della vendita in comune dei prodotti del suolo.
– Introduzione dei mezzi tecnici meccanici, utili ad innalzare la produzione terriera ed a renderla più economica.
– Organizzazione dell’esercizio delle varie industrie agricole che non possono essere esercitate dalle singole aziende.
– Promozione dell’assicurazione mutua del bestiame ed ogni altra assicurazione interessante l’azienda, il coltivatore e la sua famiglia.
– Facilitazione dell’avviamento dei prodotti verso i mercati di consumo.
– Istituzione di un servizio di consulenza e di assistenza legale e fiscale.
Troppe cose, direte voi; troppe ma necessarie»[1].
Sempre nel primo numero del periodico sotto la sua direzione, quasi a rimarcare con un esempio l’obiettivo di tanto programma, Nan presentò in prima pagina l’esperienza di un gruppo di agricoltori del comune di Quargnento, in provincia di Alessandria, che si erano uniti per acquisti collettivi di macchine, sementi e concimi: «Essi costituirono un Centro di cooperazione sotto la direzione di un tecnico agricolo. L’esperimento è andato a totale vantaggio dei 56 contadini del piccolo comune alessandrino i quali oggi con minor dispendio di forza ottengono maggiori prodotti e migliori condizioni di vita. Un plauso agli organizzatori ed agli agricoltori di quel comune, i quali hanno saputo unire le loro forze disperse per un maggior benessere comune. Vogliamo noi seguire nel futuro il loro esempio? Il vostro Comizio non trascurerà di prendere in esame anche questo problema»[2].
Erano gli inizi della seconda metà degli anni Cinquanta e la crisi dell’agricoltura non solo non cessava di rendere dura la vita nei campi, ma da crisi economica incominciava a diventare anche, per il mondo rurale, crisi d’identità in un’Italia che velocemente stava promuovendo il suo sviluppo industriale, non riuscendo nel contempo a darsi una politica agricola adeguata: «Crisi economica e crisi spirituale rappresentata dalla sfiducia verso un migliore avvenire, sono forze che da tempo spingono l’agricoltore ad abbandonare quella “trincea agricola” che con tanto ardore e fiducia ha sempre difeso e tenuta nel passato, e ad incrementare quelle forme socialmente patologiche di spopolamento della montagna, dei colli ed in genere dei campi, favorendo un urbanesimo sempre più accentuato e pericoloso», scriveva Nan. «Il disagio economico grava soprattutto nelle nostre zone pedemontane e collinari dove predomina la piccola impresa ancora a carattere familiare. La sfiducia in un migliore avvenire ha fatto presa sul piccolo coltivatore il quale, dopo fatiche sovrumane vede i suoi prodotti deprezzati, mal pagati e di contro un costo di esercizio in continuo aumento che, costringendolo all’indebitamento, gli annulla gradatamente il capitale»[3].
Carlo Nan voleva quindi immediatamente impostare una seria attività dell’ente agrario da lui diretto che avesse come scopo l’accompagnamento di quegli agricoltori che volessero iniziare un graduale progresso di trasformazione economica della propria impresa abbandonando l’improvvisazione a favore di un indirizzo colturale verso le qualità dei prodotti più apprezzati sul mercato e soprattutto volessero trasformare la loro impresa da familiare ad industriale. Quest’ultimo progetto comportava, secondo il direttore del Comizio, la «riunione delle aziende onde assumere quell’ampiezza economica richiesta per l’impiego dei moderni strumenti di lavorazione al più basso costo di esercizio, e per un’organizzazione tecnica adeguata alla lavorazione del prodotto ottenuto dal suolo onde presentarlo direttamente al consumatore»[4].
Carlo Nan entrava così a far parte di quel gruppo di persone ed associazioni che proprio in quegli anni, con approcci ed in luoghi diversi, operavano per l’emancipazione della classe rurale della provincia di Cuneo. Con alcune di queste persone che lavoravano sul territorio con questo intento, Nan strinse in seguito rapporti di amicizia e collaborazione. L’esempio forse più calzante fu la stima e la solidale amicizia che legarono Nan a Gian Romolo Bignami che proprio in quegli anni promuoveva la creazione di cooperative montane attraverso l’intervento dell’Azienda Autonoma Studi ed Assistenza alla Montagna[5].
Ma anche il Consorzio Agrario Provinciale si stava muovendo in quella direzione aiutando i vitivinicoltori della Valle Belbo a costituire la Cantina Sociale di Santo Stefano Belbo nel 1956 e la Coldiretti, dal canto suo, stava organizzando i Club 3P[6] che ebbero un indubbio ruolo di svecchiamento e di emancipazione dell’agricoltura cuneese.
Il Comizio, ben inserito in questo contesto di trasformazione strategica del mondo rurale provinciale, stava per vivere una nuova primavera riscoprendo ed attualizzando la propria missione di sempre: promuovere il benessere, da tutti i punti di vista, dell’agricoltore: «A tale scopo… la Direzione del Comizio inizierà col prendere in esame la risoluzione dei problemi che maggiormente nella nostra zona urgono e precisamente quelli relativi alla:
– vendita in comune della frutta prodotta in rilevante quantità, e costruzione di magazzini di raccolta e di conservazione:
– Acquisto in comune dei mezzi di produzione (sementi, concimi, antiparassitari) ripristinando un’antica norma di questo comizio, abbandonata con la costituzione dei Consorzi Agrari, ma alla quale oggi si rende necessario ritornare»[7].
Quest’ultima necessità era originata dalle numerose lagnanze dei coltivatori monregalesi nei confronti del Consorzio Agrario che essendo ancora in una fase di ristrutturazione dopo le distruzioni della seconda Guerra Mondiale e le difficoltà politiche ed organizzative del dopoguerra, spesso non riusciva a soddisfare le esigenze del mondo agricolo locale. Nan rimproverava al Consorzio di far poco sentire, almeno nel Monregalese, il suo essere fondato su una base cooperativistica ed auspicava, dalle pagine dell’Agricoltore Monregalese, che i Consorzi Agrari rinverdissero le loro radici perché solo così «assumeranno una nuova funzione educatrice fra le masse degli agricoltori e saranno tenuti lontani da possibili deviazioni da quelle che sono le direttive di una cooperazione che vuole giovare soprattutto a coloro che più hanno bisogno di solidarietà»[8].

«Il futuro ci invita alla collaborazione»[9].
La prenotazione dei mezzi di produzione[10] presso il Comizio Agrario di Mondovì ebbe un successo insperato: «L’esperimento degli acquisti collettivi è riuscito molto bene grazie alla collaborazione degli stessi agricoltori interessati. Perciò desideriamo volgere un caloroso elegio ai molti soci di Briaglia, Priero, Dogliani (fraz. Martina), Vicoforte, zona Collarey e, per quanto riguarda Mondovì, di Rifreddo, Merlo e Pascomonti i quali, dimostrando piena fiducia nell’organizzazione hanno gettato le basi della futura e più profonda “cooperazione” che verrà attuata fra le piccole imprese agrarie della collina monregalese»[11].
La “profonda cooperazione” di cui parlava Nan aveva infatti all’ordine del giorno l’istituzione di una mutua contro la moria del bestiame, che causava gravi danni economici agli allevatori. Il Comizio, inoltre, grazie alla collaborazione con il Consorzio Agrario, aveva organizzato un Centro di Motomeccanizzazione «mettendo a disposizione della piccola impresa collinare tutto il macchinario necessario al più basso prezzo d’uso possibile»[12]. L’importanza data anche a quest’ultima iniziativa nasceva dalla consapevolezza della direzione del Comizio di quanto fosse ormai importante dare un incisivo sviluppo alla meccanizzazione dell’agricoltura locale perché permetteva: «di arare rapidamente nell’estate i terreni argillosi onde esporli più a lungo alla disintegrante azione del sole; di associare, ove è possibile, i terreni ad una coltura intercalare; di eseguire più sollecitamente ed agevolmente i trasporti aziendali interni ed esterni; di trasformare gli allevamenti bovini in imprese di elaborazione di carne e latte; di ridurre al minimo indispensabile l’intervento della mano d’opera; di eseguire lavori più razionali di cui molto ne beneficiano le colture»[13].
La “profonda cooperazione” promossa dal Comizio voleva con  fatti, con esempi concreti, rompere quella mancanza di spirito associativo degli agricoltori del Monregalese.
Il compito, secondo Nan, era tanto più urgente quanto più si avvicinava il Mercato Comune Europeo. Infatti la concorrenza nel comparto agricolo da parte degli altri Paesi europei «dove il movimento di cooperazione degli agricoltori per la produzione e la vendita delle derrate ha raggiunto uno sviluppo invidiato dalla nostra agricoltura»[14] poteva diventare esiziale per l’agricoltura locale caratterizzata da «una disorganizzazione tecnica ed economica spaventosa; disorganizzazione tecnica perché si continua a coltivare varietà non più ricercate, varietà diverse di mele, pere, susine, pesche, ecc. su di uno stesso appezzamento, il che comporta l’impossibilità di seguire una coltivazione razionale e maggiori spese di produzione; disorganizzazione economica dovuta ad uno smercio spicciolo su mercati locali dove per la misera richiesta ed il monopolio di pochi commercianti non si possono realizzare che prezzi modicissimi»[15].
Occorreva dunque prendere coscienza che il futuro invitava alla collaborazione perché attraverso l’unione dei coltivatori si potevano perseguire quei risultati di qualità e di positiva commercializzazione che i nuovi scenari del mercato esigevano. Per questo il professor Nan insisteva sul fatto che «se l’agricoltore della collina comprenderà questa necessità di evoluzione e da uomo schivo ad ogni forma di collaborazione, si trasformerà in valido cooperatore e seguirà gli indirizzi che gli verranno suggeriti, dal Mercato Comune Europeo otterrà un grande beneficio economico»[16].

I cooperatori di Costa di Priero

Carlo Nan quindi costituiva tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta la Cooperativa Frutticoltori del Monregalese, la Cooperativa Agricola per la trasformazione strutturale e la gestione comunitaria della zona del “Caramello” (Vicoforte), la Cooperativa per la gestione comunitaria di Briaglia e la Cooperativa per la gestione comunitaria della Costa di Priero.
Questo impegno sociale gli venne riconosciuto dal territorio monregalese che gli conferì un prestigioso riconoscimento: la Torre d’oro. Quest’ultima veniva conferita a cittadini monregalesi di nascita o d’adozione che si erano resi benemeriti nei campi della cultura, dell’arte, dello sport, del lavoro o delle attività sociali.
Nell’ottobre del 1967 la Commissione del premio, presieduta dal Sindaco di Mondovì Bartolomeo Martinetti donò a Nan la “Torre d’oro per la Solidarietà Sociale” con la seguente motivazione:
«Dal 1957 il prof. Carlo Nan, docente e preside in uno dei maggiori istituti scolastici cittadini, è tra i principali animatori del rinnovamento tecnico e sociale dell’agricoltura monregalese. Tale azione Egli svolge soprattutto nella sua qualità di direttore del Comizio Agrario di Mondovì, nobile istituzione che, ai meriti conseguiti nella sua storia centenaria, aggiunge quelli di una presenza moderna e viva nell’attuale difficile momento dell’economia rurale.
Alla riorganizzazione del Comizio, in ciò appoggiato dalla appassionata opera degli Amministratori, tra cui esemplare, per tanti anni, il compianto gen. Alarico Bruzzone, il prof. Nan ha dedicato la sua competenza tecnica e scientifica e la sua capacità organizzativa. La “Cooperativa Frutticoltori del Monregalese”, il “Centro incremento frutticoltura”, e, soprattutto le “Cooperative per la gestione comunitaria e la trasformazione strutturale” di aziende agricole della zona sono i risultati concreti di tale sua azione. Le tre cooperative di gestione, realizzate sulle colline del Monregalese, costituiscono un tentativo di radicale rinnovamento nei metodi di conduzione agricola, la cui importanza va ben oltre l’ambito regionale. Il tema della cooperazione in agricoltura rappresenta, inoltre, il soggetto principale delle numerose pubblicazioni con cui il prof. Nan, che è anche il direttore del periodico “L’Agricoltore Monregalese”, ha contribuito alle ricerche e agli studi specializzati, di carattere scientifico, tecnico e sociologico, finalizzati alla rinascita dell’economia rurale. La Torre d’oro al prof. Nan vuole premiare un’attività fervida e disinteressata a beneficio dell’agricoltura monregalese ed essere nel contempo un riconoscimento per gli sforzi che i nostri operatori agricoli compiono per adeguare i metodi di conduzione delle aziende a criteri sempre più evoluti e moderni».
 
Prospettive della cooperazione.

Dopo un decennio di intensa attività a favore della cooperazione monregalese il Direttore del Comizio sentiva il bisogno di fare un primo bilancio critico del Lavoro fatto. Questo desiderio si concretizzò nel 1967 quando il Centro studi dell’Unione Regionale delle Camere di Commercio del Piemonte chiese al prof. Nan un contributo scritto sullo stato della cooperazione agricola nella regione subalpina.

Nel lavoro richiesto l’agronomo analizzò i dati statistici delle diverse forme che la cooperazione assumeva a metà degli anni Sessanta in Piemonte, dalle cooperative di produzione ai caseifici sociali, dalle cantine sociali alle associazioni economiche ortofrutticole. Ne emergeva un quadro complessivamente positivo se si teneva conto solamente del numero (173 di cui 92 erano cantine sociali) delle cooperative censite nel 1964 dall’Istituto Centrale di Statistica Agraria, poiché metteva il Piemonte tra le regioni più ricche di esperienze di solidarietà economica. Al contrario se si analizzava la struttura, la grandezza e le possibilità produttive ed economiche delle diverse esperienze cooperativistiche si giungeva ad un giudizio complessivamente non positivo.
«Caratteristica negativa del movimento cooperativistico piemontese», scrisse Nan, «è l’eccessivo frazionamento delle iniziative e la loro tendenza autonomista. Si può affermare che in certe province come in quella di Alessandria, di Asti e di Novara pochi siano i Comuni in cui non funzioni qualche piccola cooperativa; anzi è frequente il caso in cui, nello stesso comune, esistano più cooperative dello stesso genere che si fanno concorrenza.
Questa pluralità di cooperative concorrenti nella medesima località è contraria allo spirito di una ben intesa cooperazione, la quale deve tendere alla riunione e non alla divisione degli sforzi.
Molto si dovrà fare per eliminare tali duplicati procedendo alla fusione delle cooperative ed alla loro federazione in Enti provinciali e regionali. Fra tanto frazionamento e dispersione, emergono pochi organismi con una discreta potenzialità ed organizzazione che hanno raggiunto posizioni di favore e di prosperità.
Sono invece troppo numerosi i microorganismi cooperativi, i quali considerati isolatamente e dal punto di vista della loro forza incisiva di mercato, non rappresentano che entità di scarso rilievo. Essi possono avere una forza economica meritevole di considerazione, solo se verranno orientati ed organizzati in organismi di secondo grado: sono cioè degli embrioni che possono diventare corpi vitali accanto ai pochi già formati e cresciuti»[17].
Con queste affermazioni, che nascevano sia da una riflessione personale sulla propria esperienza di cooperatore sia da un’attenta analisi politico economica della realtà italiana dell’epoca, il pensiero di Nan sulla cooperazione si dimostrava ormai maturo, capace di unire idealità e praticità, mutualismo ed esigenze di mercato senza tuttavia mescolarli o privilegiare uno di questi elementi a scapito dell’altro.
Partendo dalla cooperazione frazionale Nan aveva voluto, da buon insegnante ed educatore, condurre i diversi soci ad apprendere l’arte della cooperazione. La piccola dimensione rendeva più facile il lavoro educativo, le relazioni umane e professionali. Ma quella solidarietà acquisita nella piccola cooperativa era solo un punto di partenza. Per Nan occorreva poi saper superare anche l’egoismo cooperativistico aprendo la propria società alla collaborazione o addirittura alla fusione con altre simili.
Questo era tanto più urgente perché il mercato stava assumendo dimensioni sovrannazionali: «L’istituzione della Comunità Economica Europea, tendente alla formazione di un mercato sovrannazionale, nel quale le agricolture dei vari Paesi aderenti dovranno affrontarsi su base concorrenziale, spingerà ogni Nazione ad indirizzarsi verso quelle produzioni di qualità che l’ambiente consente: la forza contrattuale vorrà che esse siano realizzate al minor costo possibile il che comporterà l’impiego di una maggior quantità di mezzi tecnici»[18].
Nan intuì che il ruolo dell’agricoltura italiana, e di quella piemontese in particolare, poteva competere con quella dei Paesi partner soprattutto sul piano della qualità. Occorreva quindi prepararsi a seguire l’evolversi del gusto dei consumatori che sarebbero diventati sempre più esigenti. La cooperazione poteva quindi svolgere ancora un grande servizio di calmieramento dei prezzi, garantendo nel contempo prodotti di qualità.
«Prodotti di qualità la cui domanda, a causa dell’elevato potere di acquisto della popolazione, andrà sempre più crescendo e richiederà per essi una determinata presentazione, conservazione, standardizzazione, maggiori garanzie di genuinità che solo grandi organismi, dotati di adeguate strutture produttive, di trasformazione, conservazione e vendita, abilmente diretti e amministrati, potranno realizzare»[19].
Queste linee di tendenza della cooperazione tracciate da Nan erano però fortemente innovative e per vedere realizzate delle significative cooperative di secondo grado, in alcuni casi con risultati deludenti, occorreva attendere la metà degli anni Settanta.
In ogni caso gli auspici di collaborazione tra cooperative fatti da Nan al termine degli anni Sessanta rimangono di grande attualità nel Movimento cooperativo attuale nel problematico scenario di un mercato sempre più globalizzato.

Alla fine degli anni Sessanta Carlo Nan dedicò un ulteriore studio ai problemi dell’agricoltura della zona. Ne emergevano diversi fattori negativi che lo studioso descriveva in questi termini: «a) la piccola e piccolissima unità fondiaria e la frammentazione è altissima nelle zone montane ed in collina, meno in pianuta dove l’ampiezza media raggiunge le dimensioni di circa ha. 7,35; b) il 78% della proprietà fondiaria presenta una superficie inferiore ai 2 ettari; il 14% da 2 a 5 ha.; il 4,9% da 5 a 10 ha.; il 2,3% da 10 a 20 ha.; lo 0,1% oltre i 20 ettari; c) l’indice di industrializzazione è solo del 20,73%, mentre quello di ruralità del 59,40%; d) le persone attive dedite all’agricoltura sono attualmente il 59,1% di cui il 55% con età superiore ai 45 anni.
Vi è inoltre da tenere presente che le Valli Monregalesi non ospitano da tempo una forma degna d’appellarsi “agricoltura” ma semplici manifestazioni economiche contingenti di cui si deve tener conto solo su un piano puramente umano e immediato. Il quadro attuale di dette valli si presenta con una popolazione di oltre 18mila unità che nell’arco di tempo dal 1881 ad oggi ha subito uno spopolamento del 33%. Tale percentuale tuttavia è in sé scarsamente significativa; diventa probante quando sia correlata al fatto che l’80% di essa si dedica ancora all’agricoltura con redditi giornalieri di famiglia di lire 790 circa»[20].
Per superare questi elementi negativi il prof. Nan ribadiva per l’ennesima volta la sua ricetta: uscita dall’individualismo[21], preparazione professionale e culturale dell’imprenditore agricolo[22], revisione delle strutture fondiarie e d’esercizio e offerta dell’assistenza tecnico-economica e dell’organizzazione di mercato[23].
Ormai però il cambiamento sociale stava accelerando il suo ritmo ed anche la fisionomia del mondo rurale del Monregalese stava mutando.
Le imprese coltivatrici capitalistiche si riducevano a poco meno del 5% e le forme di gestione a colonia parziale o totale, che nel complesso incidevano per il 15%, erano scomparse o stavano scomparendo. Si stava invece affermando una nuova forma di conduzione: il 90% delle aziende agricole venivano sorrette da famiglie composte da figure imprenditoriali miste, che svolgevano attività extra agricole in ambito industriale od edilizio.
Inoltre quelle attività di propaganda ed assistenza tecnica che caratterizzarono il ruolo del Comizio Agrario per oltre un secolo, venivano progressivamente assunte dai sindacati agrari Coldiretti, Confagricoltura e Cia.
Con gli anni Settanta infine le iniziative cooperativistiche di Briaglia, Vicoforte e Costa di Priero promosse dal Comizio concludevano definitivamente le loro attività: così Carlo Nan dovette assistere alla fine di quella significativa e storicamente importante sperimentazione di economia solidaristica rurale.
Questo fatto non demoralizzò il Direttore del Comizio che, anzi, continuò il suo lavoro a favore dell’agricoltura monregalese continuando a dare consigli su come migliorare lo stato economico dei coltivatori, a collaborare con gli Enti pubblici ed a migliorare i servizi interni offerti dal Comizio stesso.
Tra i suggerimenti che Nan dava ai coltivatori ve ne erano alcuni che dimostravano la forte capacità intuitiva dell’agronomo nell’individuare con grande anticipo quelle che sarebbero state, negli anni successivi, possibili opportunità economiche per le aziende agricole. Un esempio di quanto testé affermato fu l’esortazione fatta all’inizio degli anni Settanta a prepararsi per quella che Nan definiva la “nuova frontiera” per gli imprenditori rurali della collina e della montagna monregalese, l’agriturismo: «L’accostamento tra turismo e agricoltura non sorge solo da una necessità agricola; è un accostamento che trova la sua giustificazione in una necessità dell’uomo moderno in quale se riesce a soddisfare tutti i suoi bisogni materiali molto più facilmente del passato, sente sempre più impellente la necessità di “spazio – di verde – di tranquillità”, un trinomio che la campagna può dare insieme ad un’alimentazione più sana e genuina. Il turismo può quindi attrarre nel circuito della sua economia le zone agricole bisognose di redditi integrativi esaltandole e valorizzandole»[24].
Negli anni Settanta, per un certo periodo, nacque tra il Comizio Agrario e la Regione Piemonte una collaborazione finalizzata a promuovere i Piani Agricoli di Zona regionali che riguardavano i territori di Mondovì e di Ceva. Un minuzioso lavoro cartografico e di rilevazione aziendale svolto da Nan con la collaborazione del dottore in Agraria Mario Bertolino, dal 1974 collaboratore del Direttore del Comizio.
Con l’estate del 1995, dopo circa quarantanni, Carlo Nan si ritirava definitivamente dalla consulenza volontaria presso il Comizio.
L’11 settembre 2002 Carlo Nan morì.

Carlo Nan

Note
[1] Cfr. Nan Carlo, Un ricordo ed un saluto dal nuovo Direttore, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 11 – novembre 1956.
[2] Cfr. Nan Carlo, Vogliamo seguire anche noi l’esempio di Quargnento?, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 11 – novembre 1956.
[3] Cfr. Nan Carlo, È necessario indirizzare la piccola impresa su nuove e più ampie basi economiche, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 12 – dicembre 1956.
[4] Ibidem.
[5] Su Gian Romolo Bignami si veda Ianniello Attilio, Cooperative: storie di uomini e territorio. Dal 1945…, Madonna dell’Olmo, 2004, pp. 87-94; sulla più importante realizzazione del Bignami si veda Ianniello Attilio, Il Caseificio Valle Stura: la cooperativa dell’Alpe, Cuneo, 2007.
[6] Sui Club 3P (provare, Produrre, Progredire) si veda Carlotto Natale, Coldiretti, tutto è iniziato 50 anni fa, Savigliano 1995, pp. 119-124.
[7] Cfr. Nan Carlo, È necessario indirizzare la piccola impresa su nuove e più ampie basi economiche, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 12 – dicembre 1956.
[8] Cfr. Nan Carlo, I mezzi di produzione, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 1 – gennaio 1957.
[9] Prendiamo in prestito per il paragrafo il titolo di un articolo di Nan apparso su “L’Agricoltore Monregalese” n. 3 – marzo 1957.
[10] Cfr. Nan Carlo, Prenotazione dei mezzi di produzione, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 2 – febbraio 1957.
[11] Cfr. Nan Carlo, Dopo gli acquisti collettivi, un centro di moto meccanizzazione per la collina, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 10 – ottobre 1957.
[12] Ibidem.
[13] Ibidem.
[14] Cfr. Nan Carlo, Il Mercato Comune Europeo potrà giovare all’agricoltura delle nostre colline, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 4 – aprile 1957.
[15] Cfr. Nan Carlo, Il futuro ci invita alla collaborazione, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 3 – marzo 1957.
[16] Cfr. Nan Carlo, Il Mercato Comune Europeo potrà giovare all’agricoltura delle nostre colline, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 4 – aprile 1957.
[17] Cfr. Nan Carlo, Cooperative di produzione e di vendita, in Unione Regionale delle Camere di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura del Piemonte (a cura), I problemi dell’agricoltura piemontese di fronte allo sviluppo economico, Torino, 1967, pp. 444-445.
[18] Ibidem.
[19] Ibidem.
[20] Cfr. Nan Carlo, Il ridimensionamento dell’economia agricola, unico rimedio per uscire dall’attuale stato di dissesto, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 5 – maggio 1968.
[21] Ibidem: «L’individualismo chiuso ostacola l’efficienza di un’azienda moderna».
[22] Ibidem: «Oggi chi non si interessa dell’agricoltura con spirito professionale, con attività imprenditoriale diretta, è totalmente destinato al fallimento perché in realtà non si tratta di coltivare ma di seguire giornalmente l’azienda agricola come si segue un’azienda industriale. Su tali obiettivi è ovvio deve muoversi l’organizzazione dello Stato per l’agricoltura in grado di fornire scuole a sufficienza di carattere culturale e professionale».
[23] Ibidem: «Essa [la politica agraria statale, nda.] deve tendere ad indirizzare opportunamente le trasformazioni agrarie ed i miglioramenti fondiari, a riordinare e ricomporre le aziende polverizzate o frantumate, a dare impulso ad una favorevole legislazione cooperativistica, ad agevolare l’imprenditore agricolo nel credito, a riorganizzare il mercato secondo criteri più economici (specie per quanto riguarda la rete distributiva), a costituire un sistema di sicurezza sociale per chi opera in agricoltura comparabile a quello di altri settori produttivi».
[24] Cfr. Nan Carlo, Una “nuova frontiera” per l’agricoltura di colle e di montagna:” l’agroturismo”, in “L’Agricoltore Monregalese” n. 8 – agosto 1970. Nello stesso articolo Nan sottolineava l’importanza degli interventi degli Enti locali: «Occorre solo che lo sviluppo sia armonico, studiato e “pianificato” zona per zona attraverso interventi della Regione, della Provincia e dei Comuni nelle rispettive sfere di influenza. Provvedimenti di tutela paesistica, di valorizzazione delle particolari risorse naturali; interventi per opere di miglioramento delle località, di viabilità minore, di realizzazione di piccoli impianti sportivi; iniziative di incentivazione per l’adattamento di case di abitazione da attrezzare per l’ospitalità turistica; finanziamenti e contributi per la creazione da parte degli agricoltori stessi di trattorie tipiche, di posti di ristoro, di “botteghe” che costituiscano punti di vendita della loro produzione».

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